Panico da autosuggestione in notte temporalesca.

     Stavo guardando l'ennesima replica di Fringe, un episodio un po' ansiogeno, tendente all’agghiacciante: roba di esseri mutaforma che uccidono gli umani, poi gli trafiggono il palato con un aggeggio a tre punte per rubargli l’aspetto fisico e, mentre ci sono, anche i ricordi. Nulla che non possa sopportare (ho visto tutti i 218 episodi, più i due film, di X-Files; non sono una principiante), ma avverto una puntina di paura.

Però, sul divano, con la tisana e le gatte su pancia e gambe, la paura si sgonfia; resta giusto un po’ d’apprensione. Se non fosse che è iniziato l’ormai usuale temporale.

Mi piacciono i temporali, sono rilassanti e conciliano il sonno, tranne quando i tuoni fanno presumere che le saette stiano puntando al tetto sotto al quale abito.

Fringe, gente che infilza i palati, temporale con pioggia tipo uragano, rombi di tuono da far tremare i vetri e io, con la pessima predisposizione alla solitudine.

Va via la luce: ok, sono al buio ma almeno esco dall’ansia di cloni cattivissimi che non capisci che sono cloni fino a quando non ti uccidono e tu eri certo che fossero i tuoi migliori amici.

Le gatte si sollevano su due zampe, in sincrono, e iniziano a soffiare all’aria, con occhi tipo uovo al padellino in direzione della cucina.

Dopo un attimo arriva un’ondata di luce proprio da lì: è scattato il sensore di movimento pagato 4 euro, posizionato sul balcone ad altezza uomo, fa una luce da stadio di baseball, maledico l’idea di averlo installato.

Niente panico, mi dico. Da dentro mi rispondono che un po’ di panico comunque c’è già, inutile suggerirgli come e quando procedere.

Con movenze feline (mi piacerebbe), scalza, mi avvicino al mobile in cui tengo le spade. Afferro la prima che mi capita a tiro: ormai non ha più il filo, ma il metallo da due soldi è talmente arrugginito che ammazza col tetano.

Le gatte sono già davanti alla portafinestra, perché loro s’intendono veramente di movenze feline. Io tergiverso, mi prendo del tempo per me stessa; mi dico che se c’è un assassino, ma non mi ucciderà, andrò a farmi un’antitetanica (così, come un fioretto a San Giuda Taddeo Apostolo, patrono dei casi disperati… e anche perché sono già riuscita a procurarmi una piccola ferita estraendo la spada dal fodero di bambù).

Finalmente mi avvicino, vedo solo luce attraversata dalla pioggia… ma ai lati? Chi si nasconde nel buio? Che voglia rubarmi l’identità? Nel dubbio serro i denti; sarò anche impanicata, ma non mi lascio sopraffare facilmente. E soprattutto, “voglio vederti quando ti troverai faccia a faccia con i miei ricordi, stronzetto! Mica è roba leggera”.

Intanto inizia a preoccuparmi pure l’attacco di tachicardia parossistica che bene non fa. Anzi, posso tranquillamente ammettere che l’ipocondria batte il killer, nella gare delle apprensioni.

Apro in stile agente FBI, esco, sono fradicia in un amen, e in un angolo trovo una cornacchia bagnata e spaventata.

Depongo le armi e riesco ad acchiapparla. La asciugo, mi becca. La tengo in casa fino al mattino, perché più siamo meglio è.

Comunque, resto vigile.




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