L’imprevedibilità dell’ansia.

 

Ho un pessimo rapporto con il caldo, che però intrattiene una relazione amorosa con la mia ansia: la stuzzica, si rincorrono e lei fa la coda di pavone occupando tutta la mente.

Non mi piace arrivare in ritardo a un appuntamento, quindi finisco sempre d’essere in anticipo di mezzora buona. Così, vado in una delle piazze che amo di più, mi siedo su un gradino ombreggiato da una testa di leone e ascolto musica buona; lì c’è sempre musica dal vivo, è la piazza del Conservatorio.

Mentre sono qui rifletto sull’oscura forza generatrice dell’ansia e ne parlo un po' con voi.

Sono andata al Salone del Libro: domenica pomeriggio, come essere alla stazione di Shinjuku (Tokio) all’ora di punta, gente in stato confusionale trascinata da altra gente in fibrillazione per non perdersi incontri con gli autori, code alle casse che si fa prima a rubare il libro e spiegare il fatto in questura, rumore (tanto rumore), luci abbaglianti e caldo tipo sauna.

Niente ansia, nemmeno un briciolo di disagio.

Il giorno successivo, alle 7.30 del mattino parcheggio davanti al supermercato: ci siamo solo io e il personale, aria deliziosamente frescolina, silenzio che mi spinge a canticchiare lungo i corridoi tra gli scaffali; tutto bene, esco cammino su una lunga e larga grata, guardo in basso… e lì mi fermo, gambe rigide, fiato corto, ansia a mille. Cosa avrò mai visto sotto la grata? Il vuoto, certo, ma non più vertiginoso di quello che quotidianamente osservo dal balcone di casa. Non è la paura da cedimento del metallo sotto ai piedi, mi turbano le dimensioni: non è il sotto ma il sopra, ma intanto non riesco a muovere un passo: attacco o fuga, mi dico, la paralisi non è una reazione sana. Riesco a prendere il telefono e fotografare la fonte del "quasi panico"; a casa la guardo ripetutamente, mi ci concentro... niente!


E oggi, qui seduta, attendo l’ora giusta per l’appuntamento con il dentista che so mi farà un po’ male. E fa caldo, sto sudando così tanto da ringraziare di non essermi truccata, sui gradini ci sono altre persone che parlano al telefonino come se stesse per accedere qualcosa di orribile e quella fosse l’ultima volta che possono sentire amici e parenti. Per un momento mi pare di avvertire un vagito interno, la nascita di un attacco d’ansia; poi penso al dentista, spalle larghe, rassicuranti, e occhi buoni, e passa tutto.

Ieri, mentre guardavo una commedia in tv (divano, tisana sul tavolino, Xanax in corpo, persino silenzio in strada)… tac… attacco d’ansia.

Da cosa nasce l’ansia? Perché è così impossibile prevedere cosa la scatenerà?

So di soffrire di fobia sociale, di aver il terrore dei camici, di patire il caldo e la luce intensa, e allora perché la fiumana del Salone e il dentista non smuovono un po’ d’agitazione?

Cosa risveglia nel profondo una grata sul marciapiede o un film oggettivamente divertente?

Un tempo frequentavo una psichiatra che, ripetutamente, mi chiedeva di raccontarle l’ultimo pensiero prima di un attacco d’ansia. Mai riuscita a rispondere, nemmeno quando l’attacco è arrivato mentre lei mi poneva il quesito.

All’apparenza c’è il blackout totale, il cervello pare spento; e, in fase di riaccensione, il sistema operativo è andato in tilt.

Ho letto che si tratta di semplici reazioni chimiche, che il pensiero, l’idea momentanea, c’entrano nulla. Non so perché, ma non ci credo. Ovvero, sono convinta che uno stimolo mentale ingarbugli sinapsi, faccia partire un missile devastante di epinefrina, ormoni, neurotrasmettitori, Bdnf e compagnia bella.

È un pensiero, lo so. Amerei solo sapere quale.

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