Piccola digressione anatomica.

     Prima di andare a dormire do un’occhiata alle notizie dell’ultima ora. Per addormentarmi mi ripeto l’alfabeto, anche al contrario (e lì, di solito, mi abbiocco in uno stato di totale confusione mentale), abbinando a ogni lettera il nome di una malattia.

Appena sveglia ritorno ai lanci d’agenzia ma con più impegno rispetto alla sera, cioè non mi limito a guardare le figure. Durante la giornata leggo studi, ricerche, test randomizzati a doppio cieco carpiato su varie patologie. 

Fatico a concentrarmi e sto iniziando a sospettare che non si tratti di un disordine neuropsichico: è che non voglio concentrami, la mente divaga per sfuggire alla naturale ansia a cui conducono queste attività.

     Tuttavia, a volte, stare dietro a questioni mediche risveglia la mia attenzione (che, appunto, di solito dorme o va a farsi un giro per ammirare panorami più ameni).

Ammetto che sono bei momenti, perché per un’ipocondriaca, iatrofobica e quindi refrattaria agli ambienti ospedalieri, svolgo un lavoro inidoneo (mi scapperebbe un altro aggettivo, ma mi sto allenando a esibire una certa eleganza nell’eloquio). Inoltre, leggere le varie notizie dal mondo extra scientifico induce un avvilimento che in confronto preferirei beccarmi il lupus eritematoso (che utilizzo in ben due lettere dell’alfabeto, quando sono a corto di malattie ipnagogiche).

    Oggi, ad esempio, ho scoperto che abbiamo l’arteria Anonima, di cui ignoravo l’esistenza perché non sono un medico e da piccola non avevo L’allegro chirurgo (l’ho chiesto e mi sono arrivati un microscopio e un bisturi. Ho perso parecchio sangue, da piccola). 
Ora, ogni anfratto del nostro corpo ha un nome proprio, perché lei non ce l’ha? È un arteria, pure grandina, mica un capillare qualsiasi; è il primo ramo dell’aorta (qualsiasi cosa significhi), che di per sé è una roba di una certa importanza.

Ho fatto un po’ di ricerche in tal senso (tempo perso, non pagato, nessuno mi ha chiesto una relazione sull’Anonima); ho scoperto che qualcun altro si è impietosito come me e l’ha battezzata “tronco arterioso brachiocefalico”… eh, poi per forza tutti insistono a chiamarla Anonima.

 Tuttavia, mentre leggevo le ultime notizie sull’Anonima, sono incappata nella “malattia di Takayasu”, scoperta dall’oculista Mikoto Takayasu. Vuoi per la stanchezza, vuoi per uno di quei momenti di scarso afflusso d’ossigeno al cervello, ho attaccato a ridere.

Malattia orribile, c’è niente da ridere, ma nella mia testa ho iniziato a pronunciarla con una netta inflessione piemontese e ad aggiungere vari vocaboli d’estrazione dialettale. Ora, per chi non vive nei paraggi, taca i asu significa “attacca gli asini” (ad esempio al carro).

Per la mia memoria lacunosa questa è una mano santa, uno stratagemma per non dimenticare: da stanotte, la T si libererà della scialba tonsillite.

Perché vi racconto ciò? Sono molto stanca e un po’ abbattuta dalle faccende di questo mondo inesorabilmente malato (e temo senza cura). Abbiate pazienza.




 

 

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