Memoria anni '80.
Mentre guido, un po' assonnata, chiacchiero con il volante. Intanto sommo le cifre di qualche targa, così, per tenere la mente in allenamento e appagare quel briciolo di mania ossessivo-compulsiva che a tratti si fa viva. Ferma a un ingorgo di cui non comprendo la genesi, noto un gruppo di ragazzini con braghe della tuta e giacca imbottita d’ordinanza: abiti neri, visi pallidi, capelli tagliati in stile camelide, sguardi fissi sui telefoni; una dozzina d’occhi che probabilmente non si accorgerebbero nemmeno di un’improvvisa eclissi totale di sole.
Mi chiedo se esistono ancora i Monclar.
Uno di loro sputa a terra, tanto per rompere la noia, un altro ride da solo… beh, io parlo col volante, non c’è tutta questa differenza. Però, penso che sia un peccato che loro si siano persi gli anni ’80 ed è una fortuna che io mi stia perdendo il piacere di preferire uno schermo alla condivisione di battute sceme con gli amici.
Così mi ritrovo a fare una cosa che di solito evito, perlopiù per guasti mnemonici intercorsi per via di cattive abitudini inaugurate, guarda caso, proprio negli anni ’80; nel frattempo le ho abbandonate quasi tutte: sono astemia, le droghe mi ripugnano (se escludiamo quelle “da banco”), non shakero gin e farmaci… sono diventata una donna così virtuosa! Quasi quasi mi sento orgogliosa dei miei progressi; vorrei solo progredire di qualche metro anche con l’auto.
Ricompongo un
complicato puzzle in 3D, dove compare anche il film “Turista per caso” (chissà perché?);
su quella colonna sonora rivedo momenti divertenti e altri un po’ complicati,
risate e pianti, bolle di sapone (quelle della notte prima della maturità),
giacche di pelle, spille da balia alle orecchie, capelli incrostati di tenax, la
macchina fotografica reflex, gli innamoramenti che parevano garantire eterna infelicità,
la brama di una casa dove vivere da sola magari con un gatto nero e un cane e
un topo, più tanti sogni da non sapere dove metterli. Il tutto mentre insisto a
fissare i drogati da intelligenza artificiale.
Penso che forse, all’epoca, qualcuno fermo in un ingorgo ci avrà guardati pensando alla nostra sfortuna per esserci persi gli anni ’60… tutto è relativo.
Il passato è roba da macero, mi dico mentre prego che le auto in coda o i ragazzini si muovano. Medito sull’accendere l’autoradio, cosa che non faccio mai per paura di non sentire il sopraggiungere di un monopattino che comunque non sento ugualmente.
Ma sì, quell’aggeggio occupa quasi un terzo del cruscotto, andrebbe sfruttato. Lo ammetto, impiego un po’ di tempo per accorgermi che parte dei pulsanti sono sul volante; scuoto la testa ricordando la mezzora spesa al self del benzinaio prima d’essere informata, da un gentiluomo di passaggio, che per aprire il serbatoio tocca schiacciare un pulsante nascosto sotto il tappetino.
Sono per le cose semplici, le auto le devo sentire amiche non tecnologiche. Mi manca la mia Cinquecento azzurra.
Si accende una lucina, compaiono dei numeri, alzo il volume e… i Duran Duran cantano Ordinary World. Da ragazzetta facevo finta di odiarli, era roba per paninari e mi ero imposta un’anima punk, non si poteva andare d’accordo. Tuttavia, in questo momento mi pare che quella musica sia meravigliosa: nell’auto ci sono gli anni ’80.
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