L'ipocrisia dell'assenza di giudizio.

 




“Io non giudico mai nessuno”... quante volte si sente! Quanta ipocrisia palesa.

Nel momento in cui lo dici, mi stai giudicando… presumibilmente come una persona giudicante, quindi brutta.

Ed è vero! Io giudico, giudico eccome. Giudico al primo sguardo, giudico dalla postura e dal tono della voce, dall’odore, eccetera. Se non lo facessi non potrei provare un sentimento, di qualsiasi tipo, verso la persona, l'evento, l'oggetto che ho davanti.

Per qualche motivo, all’atto del giudicare si dà quasi sempre un’accezione negativa, eppure l’etimologia parla chiaro: “dal latino judĭcare, derivazione di judex = giudice. Judex deriva dall'unione di ius + decs (dicere) cioè colui che dice, che si pronuncia sul diritto. In senso più ampio, giudicare significa valutare, stimare, esprimere un'opinione”.

E il giudice è imparziale (o almeno dovrebbe esserlo), e tutti noi partiamo da una posizione imparziale (o almeno dovremmo).

Veniamo giudicati dalla nascita (sano, bello, troppo rugoso, troppi capelli, tranquillo, urlante come un tenore all’acme del “Nessun dorma”) alla morte (era un brav’uomo, era un bastardo, eccetera). Ci giudicano a scuola, al lavoro, nella gestione degli affetti, durante una chiacchierata tra amici. Forse, così si dice, verremo persino sottoposti al giudizio universale. Abbiamo una parte del cervello, la corteccia prefrontale, che svolge questa funzione. Tanta roba: ora proviamo a dire “Io non giudico mai nessuno”, frase che peraltro contiene un esubero di negazioni.

Giudicare è’ un atto istintivo che può salvarti la vita, che ti fa innamorare, ti fa lottare per cause in cui credi, che giudichi meritevoli. Se poi i giudizi sono inappellabili… beh, è segno di superficialità e/o di chiusura, di pensiero cicatriziale. Cerchiamo di confondere il giudizio con la critica fine a se stessa.

È che tutti noi abbiamo timore del giudizio degli altri, chi più chi meno. Il giudizio genera un’ansia potente: spesso la fobia sociale si nutre di questa inquietudine. Piacerò? Sarò fuori luogo? Sembrerò stupida? Il mio abbigliamento sarà abbastanza elegante? Mah, meglio restarmene a casa, in rassicurante solitudine.

Vedo dalle statistiche che questo blog è frequentato prevalentemente da giovani. Io non lo sono più da un po’, ma ricordo di aver attraversato due fasi nella mia gioventù: quella in cui me ne fregavo del giudizio degli altri (era un bluff, ma ci arriverò) e quella dell’apprensione di essere osservata, messa sotto esame e quindi giudicata. Una delle cause scatenanti dei miei attacchi di panico, non la più importante ma comunque significativa, è stata la convinzione di ricevere giudizi negativi sul lavoro; non mi è accaduto, se non in forme risibili, tuttavia ho sempre pensato che i corridoi bisbigliassero critiche sul mio operato; così mi scusavo per errori non commessi, a tratti fingevo di vincere la paura con un’aggressività esasperata. Con l’evoluzione del disturbo, la paura ha raggiunto anche la vita privata, per poi sfociare nell’agorafobia ("fuori mi guarderanno, soprattutto se dovessi sentirmi male, mi giudicheranno strana o addirittura pazza"; risultato: "non esco").

Nel primo caso (del “chi se ne frega”), in realtà il giudizio lo bramavo: comportarmi come se gli altri non ci fossero, amplificando atteggiamenti bizzarri o fastidiosi, era una richiesta di attenzione, un mettersi al centro del giudizio per non sentirmi invisibile. Se avessi fatto ciò che realmente volevo, mi sarei appartata in un cantuccio in totale silenzio, cercando di mimetizzarmi con la parete… perché questa è la mia natura, il mio carattere. Capita, nella vita, di cadere nel conflitto dei desideri.

L’ansia della seconda fase è stata pilotata dall’insicurezza, che pare un tormento ma ha un suo lato positivo: spinge a fare sempre meglio, a continuare a imparare; che poi anche questo sia fonte di stress logorante, ci sta.

Però, per voi che siete giovani, ho un’ottima notizia: invecchiando il giudizio degli altri, positivo o negativo che sia, assume un’importanza marginale. Il tempo residuo diventa prezioso e non ci si può permettere di sprecarlo con il valutare cosa gli altri pensano di noi, perché quello spazio è occupato perlopiù dal capire cosa si pensa di se stessi, formulando giudizi più clementi ma anche più obiettivi.

Poi, si continua a giudicare, non solo le persone, ma anche le cose, gli eventi, le notizie, le giornate. È umano e onesto, ed è importante restare entrambe le cose.

 


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