Il titolo non mi viene.
A volte mi incanto a fissare qualcosa o qualcuno.
Finché è qualcosa, va bene; gli oggetti, gli alberi e le
nuvole guardano altrove o se ne fregano se li fisso. Ma con le persone è
diverso. Le persone pensano subito che ci sia qualcosa che non va, in loro o in
me, o che va, ma non come penso io.
In realtà non penso quando mi incanto, cioè penso ad altro.
Capita che ci sia il dettaglio di un volto che mi ricorda qualcos’altro, di
solito si tratta di luoghi, di ricordi o di una voce nell’elenco della spesa
che ho dimenticato di acquistare.
Resto lì, imbambolata a puntare un puntino anomalo in un’iride
sconosciuta e mi perdo.
È che non sono fisionomista, non ho memoria per le facce: se
dovessi stilare un identikit ne uscirebbe un ritratto alla Picasso. I connotati
mi sfuggono sempre e, ho scoperto, mi confondono anche i tatuaggi (li vedo in
una maniera e li descrivo con colori diversi e forme che diventano lettere, e
viceversa).
“L’occhio è solo uno strumento ottico”, l’ho letto da
qualche parte. È il cervello che fa il grosso del lavoro e, se ben ricordo, l’area
interessata a questa amena attività si trova dietro, quasi sulla nuca. L’immagine,
quindi fa un viaggio lungo per giungere a destinazione. Nelle tappe intermedie
devo avere un blocco, un groviglio di pensieri e storture che andrebbe spinto
via, magari con un buon disgorgante.
Ora che l’ansia è più circoscritta a momenti oggettivamente ansiogeni,
e quindi ci sta, ho l’opportunità di soffermarmi un po’ di più a capire che
razza di persona sono. Prima, andare a fare ricerche in profondità mi era
difficile. Cioè, guardavo dentro a quel pozzo di pensieri, spesso
sconclusionati (quelli sono rimasti), vedevo un fondo nero e richiudevo tutto.
Oppure continuavo a guardare fino a quando il panico mi costringeva a sdraiarmi
a terra per evitare che i capogiri mi trascinassero giù.
Ho ancora paura di cadere nel pozzo, è un fatto. Ma chi non
ce l’ha? Ci si fa male a cadere in un pozzo, si può persino annegare.
È possibile che il mio fissare gli altri sia una via di
fuga, mica lo escludo. Può darsi che concentrarsi su un sopracciglio o su un
lobo dell’orecchio venga in aiuto quando inizio ad annaspare.
La mia terapeuta mi ha insegnato ad allontanare il panico
visualizzando immagini rilassanti. Null’altro mi è servito così tanto. Nel
frattempo, ho l’occasione di indagare su un mucchio di cose e di rallentare il
moto di mente e corpo.
Sto diventando lenta, sapete. Lenta in tutto. Prima lo ero
solo nel leggere, per via di quella faccenda della distrazione. Lo chiamano
deficit d’attenzione e ce l’ho in dotazione tipo difetto di fabbrica fuori garanzia,
come la mia auto che ha la chiusura del cofano che è venuta male ai produttori.
Parole in libertà: sono le cinque del mattino, ho dormito
niente e scrivo come mi viene e come mi pare. Sto vivendo così. Dicono che sia
un segno dell’età, come le macchie scure sulla pelle che ancora non ho ma
sarebbe tempo facessero la loro comparsa.
È da almeno due mesi che non pubblico alcunché su questo
disastrato blog: deficit d’attenzione. Mah, ci aggiungerei anche una certa
resistenza a impegnarmi a lungo in un’attività.
Però stanotte pensavo che qui ci sto bene e ricevere i
vostri messaggi è sempre un piacere. Pensavo anche che non ho fatto gli auguri
di buon anno e, oltre ad essere poco gentile (alla gentilezza ci tengo, è una
roba che se ben sviluppata e usata con onestà può salvare il mondo), lascia una
sorta di vuoto.
Quindi, vi auguro un anno tranquillo, saturo di bei pensieri, senza ansie. Vi auguro d'essere liberi.
A presto.
Ciao Alessandra, questa sera mentre facevo la meditazione camminata mi sei venuta in mente, non so perché ma non importa... Sono poi andato su Google a cercarti e ho guardato su you tube l'intervista con Lucia Caponetto. Molto bello! Ti auguro in mondo di bene e tanto benessere. Dhammiko
RispondiEliminaDhammiko, ti penso così spesso! Il mio Maestro! Non ho il tuo numero di telefono, mi piacerebbe sentirti. Scrivimi qui aliceinphobicland@gmail.com
EliminaUn grande abbraccio.