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Visualizzazione dei post da febbraio, 2021

Fobia sociale / social

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La fobia sociale è un disturbo interessante. Doloroso, ma interessante. Dopo che mi fu diagnosticata l’agorafobia, ebbi modo di rifletterci e di comprendere che i medici si erano concentrati sull’effetto e non sulla causa del problema; lo feci mentre mi trovavo in un parco cittadino, discretamente ampio, era notte e mi sentivo benissimo. Ricordai che la stessa sensazione di relax e totale assenza d’ansia l’avevo provata, all’esordio degli attacchi di panico e della autoreclusione, quando mi ritrovai su una spiaggia deserta alle 6 di mattina (il viaggio per arrivarci non fu facile). Come sappiamo, l’esatto significato etimologico della parola agorafobia è paura della piazza. Così, per confermare definitivamente la teoria relativa all’errore di valutazione del mio caso, una notte mi recai in piazza Vittorio (una delle piazze più grandi d’Europa): stesso effetto, fino a che non apparvero nel mio campo visivo alcuni capannelli di giovani; in quel momento l’ansia riaffiorò come Vene

Sogno/incubo in mutande

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  Mi sono spesso lamentata di sognare d’essere in mezzo alla strada senza mascherina e di provare l’imbarazzo tipico di quando il mondo onirico ci esibisce nudi nella pubblica piazza. Poi ho sentito di numerosi casi analoghi e forse (dico “forse” perché vorrei riconoscere alla mente ancora un po’ di pietà nei miei confronti) le celluline grigie hanno elaborato un piano più crudele per farmi svegliare sudata come un facocero. Ed eccomi a raccontarvi il mio ultimo sogno… che qua ci divertiremo anche a scriverlo (boh), ma mi ha parecchio angosciata. Diciamo che in assenza di psicoterapeuta, ve lo beccate voi. Premetto che voglio un gran bene a mio padre, ma effettivamente mi ha sempre ricordato uno scienziato pazzo, con la conseguente soggezione che tale percezione si porta dietro. Il sogno: Mio padre è in uno studiolo a baloccarsi con ampolle, matracci, becher, eccetera. L’arredamento sembra rubato da una stampa di fine Ottocento. Mi sta dicendo che è stato un mio amico a prestar

Fuori è più bello

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  Ufficio CAF: detesto quel genere di luoghi. Tocca stare seduti con in braccio faldoni di documenti e un'ansia che pesa quintali perché ho la certezza di aver dimenticato un documento fondamentale e di non capire mai completamente cosa mi si chiede. E poi, da quel genere di posti, risulta complesso scappare- Aggiungiamo un luogo parecchio sporco. Di norma non sono schizzinosa, ma se il pavimento, che in qualche sparuto angolino rivela il suo colore bianco originale, lo si vede di una tonalità tipo polvere di ematite dislocata in modo eterogeneo, un po' inquieta... soprattutto in questo periodo. Inoltre, il tizio che segue la mia pratica è obeso, gentilissimo ma obeso, e con il bizzarro tic di sollevare la mascherina quando ti deve parlare. Ora, a me la ciccia piace, ho sempre desiderato indossarla qua e là per raggiungere una forma più zen, ma quella tipologia di obesità, che rientra nel campo di competenza del dott. Nowzaradan, mi genera una strana agitazione. Comunque, trasc

La cura

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  A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Uhhh, che cazziatone! La faccenda dei  due venerdì non poteva restare impunita. L’Uomo dei libri non dimentica. E allora stavo guardando un episodio di Ellery Queen (che mi piace tanto), quando suona il telefonino. Lancio l’occhio e medito di darmi per morta, perché lo so che è in arrivo un vento gelido dall’est (anche se le coordinate geografiche non sono esattamente quelle di levante, sospetto). Non c’è bisogno d’essere sensitive per sentire l’onda d’urto di una rabbia trattenuta per ore. Nell’ordine: le sigarette, il ritmo sonno-veglia (e viceversa), la dieta squilibrata, la vita squilibrata, lo Xanax che rintrona, i libri suicidali che mi ostino a leggere, le analisi che rimando perché tanto già so il risultato (perché sono “presuntuosa e testarda”, tra le altre cose).   - Mi hai detto che Battiato ha scritto “La cura” per me. Qui faccio la voce di bambina che chiede d’essere presa in braccio. - Sì, per

Due venerdì

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Ho trascorso l'intera giornata di ieri come un venerdì; infatti ero adeguatamente allegra, o almeno al meglio delle mie possibilità (amo il venerdì). Non per capriccio, ne ero proprio convinta. Quindi ieri sera ho bevuto litri di tè, ho bamblinato come se non ci fosse un domani, sono andata a dormire alle 5 e stamattina mi sono stupita di quanta gente rompesse le balle di sabato mattina. Ero persino un po' indignata, frustrata, arrabbiata leggendo i messaggi che mi chiedevano perché non fossi rintracciabile in un giorno lavorativo. Colma di disprezzo verso questo mondo insensibile, ho iniziato a baloccarmi con progetti per cambiare vita ("perché non sono un mulo, ed è tempo che la gente inizi a capire che anche io ho diritto al fine settimana"... ecc.). Poi mi sono messa a computer con l'animo di chi ne ha le scatole piene. Poi l'occhio è caduto sull'ora e la data (in basso a destra). Poi sono iniziati i primi sospetti. Poi ho digitato su Google "data

LAPTOP VS TYPEWRITER

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  (tutti i dialoghi avvengono tra me e me, assecondando i principi fondamentali della follia)   Interno notte. Lampadina a luce calda puntata sulla tastiera.   Flap, flap, flap.   - È il suono che non va. Beh, anche la consistenza dei tasti, la loro arrendevolezza. Mai che oppongano un minimo di resistenza e a noi piace lottare, non è forse vero?   - No, no, noi si scappa, perlopiù. O ci si dà per morti, che ci riesce bene.   Flap... toc (che sarebbe un punto premuto con enfasi che ha tanti di quei sottintesi che toccherebbe scriverne per giorni).   - Magari andare a dormire?   - Ho un’idea...   - Le nostre idee ci mettono sempre in allarme, ricorda. Sulla carta non sono male, ma nella realtà sono invariabilmente sbagliate.   - Ah-ah, vedi che sei sempre negativa?   Laptop chiuso, lampadina spenta.   Da una libreria esageratamente abitata, osserviamo la “collezione” di macchine per scrivere. La Remington extralarge lancia occhiatine seducenti; siamo tentate, lei ha l’esperienza di una